“Le lacrime che non escono si depositano sul cuore, con il tempo lo incrostano e lo paralizzano come il calcare incrosta e paralizza gli ingranaggi della lavatrice”: basta questa frase di Susanna Tamaro per raccontare il pianto di Gonzalo Higuain, dopo l’espulsione comminata dall’arbitro Irrati per un motivo che resta ancora misterioso a chi non vuole vedere tra le righe di un campionato che poteva conoscere ben altro esito. E che invece finirà, ancora una volta, con la Juventus Campione d’Italia. Di un’Italia che non riesce ad accettare che il potere per una volta si sposti al di sotto del Garigliano. Rifelttete: in oltre cento anni di storia della Serie A, si contano 3 scudetti alla Roma, 2 alla Lazio, 2 al Napoli, 1 al Cagliari. Dal 1898 ad oggi, su 118 campionati giocati, solo 8 sono al centro sud. Una sperequazione che non si può spiegare solo con l’incapacità di alcuni e la capacità di molti a fare calcio, ma soprattutto con un centro di potere radicato da sempre al nord Italia. E per sradicarlo, il Napoli dovette acquistare il più grande di tutti i tempi; i Sensi e i Cragnotti hanno dovuto investire tanto al punto di ritrovarsi poi sull’orlo del fallimento.
Qualcosa non va quindi, ma non solo fuori dal campo. Perché se è vero che l’espulsione di Higuain priverà per qualche giornata la squadra del suo giocatore più forte, questo accadrà nel momento clou del torneo, dove sarebbe stato ancora possibile almeno incutere un certo timore alla Juventus. Non succederà e ce ne facciamo una ragione, noi; anche perché la proprietà del Napoli, probabilmente, se l’è fatta da tempo. Non si può cercare di vincere un campionato “rinforzando” la squadra a gennaio con gli acquisti di Regini e Grassi. E non veniteci a dire che è un mercato difficile: la Roma ha (quasi) stravolto la squadra e ha ottenuto e sta ottenendo risultati importanti. Che addirittura potrebbero mettere in pericolo il secondo posto del Napoli, ma questa è una storia cui non vogliamo ancora pensare.
Poi c’è l’aspetto tecnico, quello puramente da campo. E anche qui, inutile negarlo, alcuni errori sono stati commessi. Tralasciando lo scontro diretto con la Juve, perso per un gol a due minuti dalla fine, grida vendetta il pareggio interno con il Milan e la partita di Udine. Alla Dacia Arena Sarri non è stato capace di arginare lo strapotere friulano sulle corsie esterne, nessuna contromossa in nome di un’idea di calcio che deve mirare sempre e solo ad affermare e non anche ad arginare. Dalla panchina le partite si possono cambiare, almeno i grandissimi allenatori fanno così. Forse Sarri non lo è, ma è destinato a diventarlo se perderà quella sua maledetta voglia di caricare i prepartita con ansie inutili che, se da un lato possono essere giuste (è verità che il Napoli giochi sempre dopo la Juve), dall’altro imprimono ai calciatori alibi di cui non hanno bisogno. La strada per crescere è ancora lunga, ma il solco è tracciato: bisogna seguirlo evitando certi deragliamenti mentali e fisici. E le lacrime di Gonzalo Higuain devono essere un monito: contengono tutta la dignità di un campione cui è stato strappato un sogno. Perché ieri, in fondo, siamo stati tutti Higuain.
P.s.: Ad Udine Reina non ha giocato. Gabriel ha commesso l’errore che ha segnato di fatto la partita, con l’Udinese che è riuscita ad andare al riposo in vantaggio. Ricordiamocene quando, in futuro, a qualcuno verrà ancora voglia di criticare il portiere spagnolo.