Aurelio De Laurentiis ha dei meriti enormi: dopo aver preso il Napoli nel 2004 in un’aula di tribunale fallimentare, lo ha portato in pochi anni ai vertici prima del calcio nazionale e poi a presenziare stabilmente in Europa. Oggi il club è conosciuto nuovamente in tutto il mondo, venendo spesso preso come modello di gestione societaria oculata e intransigente dal punto di vista economico: non si spende più di quanto si guadagna, il fair play finanziario è la strada maestra da seguire, quella che detta le regole (che molti club non rispettano, restando impuniti) che il Napoli segue. Cercando di raggiungere, parallelamente, anche risultati sportivi importanti. E così, negli ultimi cinque anni, sono arrivate tre qualificazioni alla Champions League, due coppe Italia e una Supercoppa italiana. E, statisticamente, il Napoli è l’unico club italiano che disputerà l’anno prossimo una manifestazione europea per il settimo anno di fila. Insomma, risultati che fanno “rumore”, considerando che sono stati raggiunti partendo praticamente da zero. Eppure c’è un lato oscuro che ancora frena l’ascesa del club verso le sfere altissime del calcio: le strutture.
Nel 2004, quando divenne proprietario del Napoli, Aurelio De Laurentiis decise di chiudere tutti i conti con il passato. E così il centro sportivo di Soccavo, teatro delle gesta di Maradona in allenamento, venne chiuso, sbarrato: oggi è ridotto ad un rudere che lascia sensazioni miste tra pena e tenerezza a chi ha l’occasione di visitarlo. Per qualche tempo il Napoli peregrinò sui campi dell’hinterland per svolgere le sue sedute d’allenamento, da Paestum a Sant’Antimo, aspettando che il centro sportivo di Castel Volturno fosse pronto. Vi si trasferì ad inizio 2006, da allora il centro è cresciuto – e parecchio anche – pur con tutti i limiti del caso. Il Napoli è inquilino, non gode della proprietà e dunque non può operare migliorie ingenti e proporzionate alla sua crescita di club.
Basti pensare che, un a volta arrivato a Castel Volturno, Rafa Benitez dovette intervenire in prima persona per pretendere ed ottenere attrezzature e accorgimenti volti a preparare al meglio la squadra per gli impegni di campo. Avrebbe voluto anche una piscina il tecnico spagnolo, per fare in modo che un giocatore infortunato potesse recuperare la forma nel centro dove si allena il resto della squadra, evitando così di perdere contatto con i compagni, l’allenatore e lo staff. Non fu possibile ovviamente, ma Rafa veniva da esperienze pregresse che lo avevano portato ad allenare alcuni tra i più grandi club al mondo, e fu tacciato di manie di protagonismo, quando invece il suo obiettivo era semplicemente quello di migliorare il più possibile il club anche da questo punto di vista.
É innegabile che il Napoli abbia ora bisogno di un centro sportivo all’altezza, che risponda alle esigenze di una squadra impegnata ormai a lottare contro compagini forti in Italia e in Europa. E Castel Volturno non sembra poter rispondere in maniera perfetta a questo bisogno: prima o poi, volente o nolente, De Laurentiis dovrà costruire un centro sportivo che sia di proprietà del Napoli e all’interno del quale il Napoli possa operare tutti i cambiamenti che l’evoluzione presenterà in materia.