Napoli-Roma, storie di tifo in chiaroscuro: i quattro eventi che lo hanno segnato

Molti oggi si chiedono i motivi dell’odio così forte tra tifosi del Napoli e della Roma, culminato con l’uccisione di Ciro Esposito nel 2014. Sono tanti a ricordare il gemellaggio esistente tra le due tifoserie, terminato alla fine degli anni ’80 per motivi solo all’apparenza futili. Per capire bene i fatti però, bisogna fare un passo indietro di qualche decennio. Quando la violenza era ancora una rara eccezione.

Per ristabilire una verità storica, ci siamo basati sulle testimonianze di chi la storia di questa partita l’ha vissuta in prima persona, tra il San Paolo e l’Olimpico. E ne è venuta fuori una vicenda complessa, forse più di quello che possa apparire in realtà.

GLI INIZI – Pur essendo due città divise da appena 180 chilometri, i rapporti tra le due tifoserie non sono mai stati idilliaci. Proprio per la breve distanza intercorrente tra Napoli e Roma, sin dalla fine degli anni ’60 erano tantissimi i sostenitori partenopei che si recavano nella Capitale per seguire la loro squadra del cuore quando giocava lì. E non parliamo di poche migliaia di unità: a muoversi erano sempre non meno di 15-20 mila tifosi, con picchi anche di 30 mila napoletani che coloravano per metà l’Olimpico di azzurro. Col passare del tempo, questa cosa iniziò a dar fastidio a qualcuno, negli ambienti giallorossi di Roma. C’era infatti una minoranza, molto probabilmente di estrema destra, che non vedeva di buon occhio l’invasione della propria città da parte dei tifosi del Napoli.

1973 LA PRIMA SPARATORIA – E un segnale terribile lo si ebbe il 2 dicembre 1973. Quella domenica, negli annali, è passata alla storia come il giorno in cui Roma venne imbiancata dalla neve: un evento più unico che raro. E quella domenica, allo stadio Olimpico, si giocava proprio Roma-Napoli. Date le condizioni meteo, le autorità tutto si sarebbero aspettato fuorché dover fronteggiare un episodio di violenza e criminalità. Nonostante l’aspetto climatico tutt’altro che invogliante, si presentarono al Foro Italico trenta mila napoletani, per seguire la loro squadra in quel momento capolista del campionato. E che si confermò tale dopo aver battuto i giallorossi 1-0 grazie ad un gol di Braglia, che scatenò ovviamente l’entusiasmo dei tifosi azzurri. Dopo la partita, all’esterno dell’Olimpico, non si registrava tensione. Ma all’improvviso un lampo: un tifoso della Roma si avvicinò ad un gruppetto di napoletani, rei forse di star ancora festeggiando e, dopo aver tentato inutilmente di usare il taglierino, estrasse una pistola e sparò due colpi. Il primo andò a vuoto, il secondo si conficcò in bocca ad uno dei tifosi del Napoli lì presenti: il proiettile entrò dal labbro inferiore, distrusse nove denti e non intaccò la giugulare per pochi millimetri. Il povero malcapitato si chiamava Alfredo Della Corte, aveva 17 anni ed era del quartiere di Chiaiano. Si salvò per miracolo, ma da quel momento i rapporti tra i tifosi del Napoli e quelli della Roma divennero sempre più burrascosi.

Nel frattempo andavano formandosi, o in alcuni casi si erano già formati, i primi gruppi ultras in Italia. A Roma e a Napoli questo processo fu consistente, dando luogo alla nascita di due sigle che avrebbero scritto la storia del tifo organizzato: Commando Ultrà Curva Sud (CUCS) e Commando Ultrà Curva B (CUCB). Erano associazioni di persone legate dallo stesso obiettivo – il tifo per la loro squadra del cuore – e da entrambe le parti arrivavano messaggi distensivi dopo il pessimo episodio del 1973. Attenzione però a generalizzare: il pensiero degli appartenenti ai due gruppi non era, e non poteva essere, comune alla totalità dei tifosi giallorossi ed azzurri. Il ferimento, con una pistola per giunta, di Della Corte, aveva scavato un solco nei rapporti tra le due fazioni. Una tensione negativa che CUCS e CUCB cercarono di smorzare dando luogo ad un gemellaggio tra i loro due gruppi. E così, prima di ogni Napoli-Roma o Roma-Napoli, avveniva un incontro in campo con scambio di bandiere e gagliardetti. Scene molto belle, e la bellezza, come ha scritto Dostoevskij, salverà il mondo. Quello azzurro-giallorosso ne vene infettato positivamente per un po’, e sia al San Paolo che all’Olimpico Napoli e Roma potevano giocare partite bellissime per la loro cornice di pubblico appassionata e festante, ma soprattutto civile. I tifosi giallorossi venivano ospitati in Curva B, dove esponevano finanche gli striscioni sulle balaustre, e la stessa cosa avveniva nella Capitale con i tifosi del Napoli assiepati pacificamente in Curva Sud.

1987 FINE DELLA TREGUA – Un idillio che andò avanti per qualche anno, prima di iniziare a scricchiolare per motivi futili, ma che celavano un fuoco mai spento del tutto sotto la cenere del gemellaggio. Primo: il trasferimento di Bruno Giordano, laziale doc, al Napoli. Secondo: ideologia politica. Prima di quel famoso Roma-Napoli con il gesto dell’ombrello di Bagni ai sostenitori giallorossi, in Curva Sud ci fu una resa dei conti tra i Boys, gruppo di estrema destra, e il CUCS. Scontri violenti che iniziarono a determinare un primo cambio di gerarchia all’interno del settore: per puro spirito di contraddizione, i Boys fecero partire il coro “Napoli vaffanculo”. Il problema è che furono seguiti da migliaia di altri sostenitori della Roma, a dimostrazione, purtroppo, del fatto che in molti non stavano aspettando altro. La partita si giocò in un clima incandescente, il Napoli la concluse in 9 e riuscì a pareggiarla grazie ad un gol di Francini nel finale. Ogni volta che Maradona si trovava sul corner per battere un calcio d’angolo, veniva bersagliato da improperi di ogni genere, oltre che da oggetti contundenti quali bottigliette ed accendini. Alla fine della partita poi il gesto di Bagni – che solo a distanza di anni si è scusato –  servì solo a riscaldare ulteriormente gli animi. Da quel momento, ad ogni modo, il rapporto di amicizia tra romanisti e napoletani andò via via esaurendosi.

2001 GUERRIGLIA A FUORIGROTTA – Non solo non più amici, addirittura nemici. Negli anni ’90 le scaramucce tra le due tifoserie iniziarono a diventare sempre più gravi. E al termine del campionato 2000-2001 Fuorigrotta si trasformò in un campo di battaglia con auto della polizia date alle fiamme e scontri violentissimi che provocarono numerosi feriti da un lato e dall’altro: la Roma fu bloccata al San Paolo dal Napoli sul 2-2, una vittoria avrebbe regalato matematicamente lo scudetto alla squadra di Capello. A causa delle disgrazie finanziarie del club partenopeo, che dovette ricominciare dalla Serie C, per alcuni anni Roma e Napoli non si affrontarono. Quando tornarono a farlo, riapparvero purtroppo anche i problemi. A volte, chissà, creati ad arte per evitare il confronto tra le due tifoserie. Il 31 agosto 2008 fu concessa la trasferta all’Olimpico ai tifosi del Napoli. Per molti, una trappola. Intorno alle 13 iniziarono ad arrivare notizie di incidenti sul convoglio che li trasportava a Roma. Il treno fu fatto fermare per due ore circa sotto una galleria, tra l’esasperazione generale ed un caldo asfissiante che arrivava fino a 40°. Così gli ultras arrivarono all’Olimpico solo all’inizio del secondo tempo. e fu più facile, per le forze dell’ordine, controllarne l’afflusso allo stadio. Nel pomeriggio uscì un comunicato di Trenitalia che dichiarava danni al convoglio per un valore di 500 mila euro. Le successive inchieste, tuttavia, non riuscirono a trovare colpevoli. Il caso fu insabbiato e fatto cadere nel dimenticatoio.

2014 CIRO ESPOSITO – Da quel momento, comunque, la trasferta fu vietata sia ai tifosi del Napoli che a quelli della Roma: le istituzioni avevano finalmente compreso la portata dell’odio intercorrente tra le due fazioni, e in assenza di adeguate contromisure, impossibili da prendere, optarono per quella più logica. Il problema si ripresentò quando il Napoli arrivò in finale di Coppa Italia, che si gioca all’Olimpico ogni anno. Nel 2012, contro la Juventus, il sistema di ordine pubblico creato dal lavoro incrociato delle tre Questure funzionò benissimo. Non altrettanto due anni dopo, con la colonna di autobus pieni di tifosi del Napoli fatti rimanere fermi sulla statale di Tor di Quinto. Un bersaglio troppo facile per il pregiudicato Daniele De Santis: a farne le spese fu Ciro Esposito, su cui De Santis aprì il fuoco ferendolo. Esattamente come era avvenuto 40 anni prima con Della Corte. Solo che, questa volta, intervenne la morte a stendere un velo pietoso e definitivo su qualsiasi pretesa di ristabilire un legame di amicizia tra le due tifoserie.

Vincenzo Balzano

 

 

 

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