LA STORIA SIAMO NOI/ Il Napoli lo preferì a Ronaldinho e sbagliò: ma Beto avrebbe potuto avere una grande carriera

STORIA CALCIO NAPOLI – “Per quanto tu possa essere razionale, ci sarà sempre una favola alla quale finirai per credere”. Il calcio è una di queste. A Napoli, ancor di più. Perché a Napoli il calcio travalica spesso il confine della logica, arrivando a raccontarci storie bellissime, non per forza con il lieto fine. In questa rubrica del lunedì proveremo a ripercorrere i momenti topici del calcio partenopeo, andando a sbirciare dietro le quinte del palcoscenico verde per comprendere a fondo la magia di questo sport tanto amato. Per far capire cosa è il Napoli, cosa rappresenta per milioni di tifosi che di generazione in generazione lo venerano. Con la speranza di tramandare le sue storie, affinché non se ne perdano mai le tracce. Buona lettura.

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Era la torrida estate del 1996. Corrado Ferlaino era alle prese con l’ennesima ricostruzione della squadra, che quell’anno aveva affidato a Gigi Simoni, dopo le due stagioni tra alti e bassi con Vujadin Boskov in panchina. L’occasione si presentò dal Brasile, dove  il Napoli – grazie anche al passato in azzurro di Careca ed Alemao – era una squadra conosciutissima e alla quale tanti giovani brasiliani guardavano come un traguardo da provare a raggiungere. Fu così, facendo leva su un passato glorioso che non era ancora tanto lontano, che l’Ingegnere riuscì ad aquistare dal Botafogo il trequartista Joubert Araújo Martins, meglio conosciuto come Beto. Il calciatore, che aveva 21 anni quando arrivò all’ombra del Vesuvio, fece non poca fatica ad inserirsi in squadra: non tanto per una questione tecnica – con i piedi era un funambolo in grado di fare qualsiasi cosa – quanto per un problema mentale. Probabilmente Beto non era ancora pronto al grande salto, forse quelli come lui non lo sarebbero mai stati: uno spreco di talento che non è così raro nel mondo del calcio. 

Storia Calcio Napoli, Beto e le sue perle

Eppure di lui si ricordano un paio di buone cose viste in campo: il gol alla Sampdoria, grazie al quale il Napoli espugnò Marassi dopo dieci anni di digiuno; o ancora quello in semifinale di Coppa Italia contro l’Inter, quando dopo una serpentina tra i difensori avversari trafisse Pagliuca con un tiro di piatto destro che passò sotto le gambe del portiere nerazzurro, facendo esplodere gli 80 mila del San Paolo. Poi Simoni fu esonerato – per colpa di un accordo già trovato, proprio con l’Inter, per la stagione successiva – e al suo posto arrivò il tecnico della Primavera, Enzo Montefusco.

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Il rapporto tra il nuovo allenatore e Beto diventò subito burrascoso. Anche perché il brasiliano, colpito dalla saudade, si lasciò andare a più di una notte brava nelle strade di Napoli. La goccia che fece traboccare il vaso fu l’episodio accaduto prima della finale di ritorno di Coppa Italia contro il Vicenza. Gli azzurri partivano dall’1-0 dell’andata ma, due giorni prima di partire per il Veneto, Beto non si presentò in ritiro. Quando tornò, con un ritardo di quasi 24 ore, volarono parole grosse: Montefusco non lo fece giocare a Vicenza (dove poi il Napoli perse la faccia con un secco 3-0, bye bye Coppa Italia) e pochi mesi dopo le strade si separarono definitivamente: la carriera di Beto si spense lentamente tra Flamengo, San Paolo, Fluminense, e poi via via nelle serie minori brasiliane, fino al ritiro dal calcio avvenuto nel 2009.

Una storia andata male, come tante purtroppo nel calcio. Una storia alla Sliding Doors: quell’anno il Napoli aveva visionato, oltre ai filmati relativi a Beto, anche quelli di un certo Ronaldo de Assis, all’epoca sedicenne e che qualche anno dopo sarebbe diventato uno dei più grandi calciatori al mondo: Ronaldinho. Chissà come sarebbe potuta cambiare la storia…

 

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