Maurizio Sarri ha trasformato il Napoli in pochi mesi. Lo ha fatto con la forza delle sue idee, che lo hanno sempre sorretto nella sua carriera. E ora, in azzurro, sta raccogliendo i giusti frutti: il titolo di campione d’inverno, seppur effimero, è un primo, meritato, riconoscimento al suo lavoro.
Non si piega Sarri. Non scende a compromessi, è sempre stato così e così sarà per sempre. Come il suo atteggiamento in panchina: lui è l’allenatore, perchè dovrebbe indossare giacca e cravatta? Ha bisogno di stare comodo, e allora quale indumento migliore della tuta? Lo disse anche quando fu presentato come allenatore del Napoli: “Non rinuncio alla tuta, è il mio abbigliamento da lavoro quando sono in panchina”. Per sentirsi anche più vicino ai calciatori: loro in maglietta e pantaloncini, lui in tuta. Uomo di campo, che sul campo suda e lavora insieme ai suoi calciatori, ponendosi su un piano, se non del tutto uguale – i gradi sono gradi – almeno quanto più vicino ai suoi uomini. “Sono uno di voi”, sembra dire il tecnico indossando la tuta. “E come tale capisco i vostri problemi e sono qui per risolverli”. Non fa una piega.
Oggi la maggior parte degli allenatori siede in panchina vestendo in giacca e cravatta. Magari gettando via il cappotto quando qualcosa va storto (vero Allegri?), e nessuno li condanna, ci mancherebbe. Ma è giusto portare un esempio: nelle sue apparizioni televisive, vediamo spesso l’astronauta Samantha Cristoforetti indossare la classica tuta da lavoro. Di certo non gonne e neppure vestitini plissettati. Insomma, è pur vero che l’abito non fa il monaco. Ma è vero che, sindacare su come un tecnico voglia vestirsi in panchina, è un esercizio sgrammaticato e incoerente. E infine inutile, almeno per Sarri. Ha già dovuto rinunciare alle sigarette in panchina (buon per lui). Ora toglietegli tutto, ma non la sua tuta…
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